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The Voyage of the Beagle
Charles Robert Darwin
(1839)

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Diario di un naturalista giramondo Diario di un naturalista giramondo
CAPITOLO I.CAPITOLO I.
SANT’IAGO - ISOLE DEL CAPO VERDE.

Porto Praya - Ribeira Grande - Polvere atmosferica con Infusorii - Costumi di una Aplisia, e di una Seppia - Roccie di S. Paolo, non vulcaniche - Singolari incrostazioni - Gl’insetti, primi coloni delle isole Fernando Noronha - Bahia - Roccie brunite - Costumi di un Diodonte - Conferve ed Infusorii - Pelagia - Cause dello scoloramento del mare.

Respinto indietro due volte, da un forte vento di sud-ovest, il brigantino da guerra Beagle della regia marina inglese, comandato dal capitano Fitz-Roy, salpò finalmente da Devonport il 27 dicembre 1831. La spedizione aveva per iscopo di fare una ispezione compiuta della Patagonia e della Terra del Fuoco, ispezione cominciata dal capitano King dal 1826 al 1830 - esaminare le spiaggie del Chilì, del Perù e quelle di alcune isole del Pacifico - e fare una serie di misure cronometriche intorno al mondo. Giungemmo il 6 gennaio a Teneriffa, ma non ci fu permesso sbarcare, perchè si temeva a terra che noi portassimo loro il cholera. L’indomani mattina vedemmo spuntare il sole dietro lo scosceso profilo della grande isola delle Canarie, ed illuminare repentinamente il Picco di Teneriffa, mentre le parti più basse erano velate da leggere nubi. Questo fu il primo di una lunga serie di giorni deliziosissimi che non ho mai più dimenticato. Il 16 gennaio 1832, gettammo l’àncora a Porto Praya, a Sant’Iago, la principale isola dell’arcipelago del Capo Verde.

Veduto dal mare il contorno di Porto Praya ha un aspetto desolato. Il fuoco dei vulcani di epoche remote, ed il calore ardentissimo del sole dei tropici, hanno reso in molti punti il suolo inetto alla vegetazione. Il paese sale con successivi altipiani, frammisti ad alcune collinette a cono tronco, e l’orizzonte è limitato da una catena irregolare di monti più alti. La scena veduta attraverso alla fosca atmosfera del clima, è interessantissima, se pure una persona che ha lasciato da poco il mare e per la prima volta passeggia in un bosco di alberi di cocco, può essere buon giudice di qualsiasi cosa tranne che del godimento che prova. In generale l’isola non può essere considerata come molto attraente; ma per chi non conosce che un paesaggio d’Inghilterra, l’aspetto nuovo di una terra al tutto sterile ha un non so che di grandioso, che forse una maggiore vegetazione potrebbe toglierle. Per grandi tratti di pianure coperte di lava non si incontra un filo d’erba; tuttavia gregge di capre ed alcune vacche riescono a trovare di che vivere. Piove molto di rado, ma durante una breve parte dell’anno hanno luogo violenti acquazzoni, dopo i quali spunta immediatamente da ogni crepaccio del terreno una scarsa vegetazione. Questa apparisce in breve, e gli animali vivono del fieno che per tal modo si forma naturalmente. Ora è un anno che non piove. Quando l’isola fu scoperta il contorno immediato di Porto Praya era rivestito di alberi[1], di cui la imprevidente distruzione ha cagionato qui come a Sant’Elena ed in qualche altra isola delle Canarie, una quasi assoluta sterilità. Le valli larghe, profonde, di cui molte fanno ufficio solamente per pochi giorni in una stagione di corsi d’acqua, sono rivestite di boschetti di arbusti senza foglie. Pochi esseri viventi abitano quelle valli. L’uccello che vi s’incontra più comune è un martin pescatore (Dacelo Jagoensis), il quale si posa tutto fiducioso sui rami della pianta detta olio di castoro, e di là piomba sulle lucertole e sui grilli. Ha colori brillanti, ma non è così bello come le specie d’Europa; differisce pure grandemente da questi pel volo, pei costumi e pel luogo ove abita, che in generale è una qualche aridissima valle.

Un giorno andammo due ufficiali ed io a cavallo fino a Ribeira Grande, villaggio poche miglia all’est di Porto Praya. Fino alla valle di San Martino, il paese aveva sempre il suo aspetto brutto e scolorito; ma a quel punto un piccolissimo filo d’acqua produce un freschissimo margine di lussureggiante vegetazione. Nel corso di un’ora giungemmo a Ribeira Grande e ci sorprese la vista di una grande fortezza e di una cattedrale, entrambe diroccate. Questa piccola città era, prima che il suo porto si fosse colmato, il luogo principale dell’isola; ora ha un aspetto melanconico ma molto pittoresco. Essendoci procurati un frate nero per guida ed uno spagnuolo che aveva servito nella guerra peninsulare come interprete, visitammo molti fabbricati, di cui la parte principale si componeva di una chiesa. Qui sono stati sepolti i governatori ed i capitani generali delle isole[2]. Alcune delle lapidi hanno la data del secolo decimosesto. Gli ornamenti araldici erano le sole cose in quel luogo remoto che ci ricordassero l’Europa. La chiesa o cappella formava un lato di un quadrilatero, nel mezzo del quale cresceva un boschetto di alberi di banane. Un altro lato era composto dell’ospedale, che ricoverava una dozzina di miserabili.

Tornammo alla Venda pel pranzo. Un gran numero di uomini, di donne e di bambini, tutti neri come l’inchiostro, si raccolsero per vederci. Essi erano sommamente allegri; ad ogni nostra parola, ad ogni nostro cenno, scoppiavano dalle risa. Prima di lasciare la città andammo a visitare la cattedrale. Non vi sono tante ricchezze come nella chiesa più piccola, ma vanta un piccolo organo, che manda suoni singolarmente disarmonici. Donammo qualche scellino al frate nero, e lo spagnuolo, posandogli la mano sul capo, disse, molto ingenuamente, che non credeva che il colore facesse poi una troppo grande differenza. Tornammo allora il più speditamente possibile coi nostri cavallini a Porto Praya.

Un altro giorno dirigemmo le nostre escursioni verso il villaggio di San Domingo, collocato quasi nel centro dell’isola. Sopra una piccola pianura che attraversammo crescevano alcune acacie mezzo intisichite; le loro cime eransi incurvate, per effetto dei continui venti alisei, in modo singolare - alcune erano anche ad angolo retto col loro tronco. La direzione dei rami era esattamente N-E-N. e S-O-S., e queste banderuole naturali indicano la direzione prevalente dei venti regolari. I viaggiatori hanno lasciato così poche traccie su quel suolo nudo, che perdemmo la strada, e ci volgemmo verso Fuentes. Non ci accorgemmo di questo finchè non fummo giunti sul luogo; ed in seguito rimanemmo contenti di questo sbaglio. Fuentes è un graziosissimo villaggio, con un piccolo corso d’acqua; ed ogni cosa vi sembra prosperosa, tranne invero, quello che era più importante, i suoi abitanti. I bambini neri, al tutto neri e macilenti, portavano fasci di legna da ardere grossi quasi come il loro corpo.

Presso Fuentes vedemmo un grande strupo di galline di Faraone - probabilmente erano in numero di cinquanta o sessanta. Erano timidissime e non ci potemmo avvicinare ad esse. Ci sfuggirono, come le pernici in un giorno piovoso di settembre, correndo col capo sollevato, e se erano inseguite, spiccavano immantinente il volo.

Il paesaggio di San Domingo ha una bellezza al tutto inaspettata, rispetto al carattere cupo che prevale in tutto il rimanente dell’isola. Il villaggio sta in fondo ad una valle, limitata da alti e dentati muri di lava stratificata. Le roccie nere fanno contrasto spiccato colla verde e splendida vegetazione che adorna le sponde di un piccolo corso d’acqua limpidissima. Era un giorno di festa, ed il villaggio era pieno di gente. Al nostro ritorno incontrammo un drappello di una ventina circa di fanciulle nere, vestite con molto buon gusto; la loro pelle nera ed i candidi vestimenti spiccavano maggiormente pei scialli e turbanti coloriti che portavano. Appena fummo loro vicini, esse si misero in circolo, e coprendo il sentiero coi loro scialli, cominciarono a cantare con grande energia una selvaggia canzone, battendo il tempo colle mani e coi piedi. Gettammo loro alcune vinteru, che ricevettero con scoppi di risa, e le lasciammo mentre cantavano con lena raddoppiata.

Un mattino il villaggio era singolarmente chiaro; le montagne lontane spiccavano coi loro frastagliati profili, sopra una cupa striscia di nubi azzurrognole. Giudicando dall’apparenza, e da ciò che aveva osservato in Inghilterra, supposi che l’aria fosse satura di umidità. Tuttavia, il fatto, era interamente l’opposto. L’igrometro dava una differenza di 296 gradi, tra la temperatura dell’aria ed il punto a cui l’umidità si precipita. Questa differenza era quasi il doppio di quella che io aveva osservato le mattine precedenti. Questo insolito grado di asciuttezza atmosferica era accompagnato da continui lampi. Non è forse un caso singolare, questo di trovare un notevole grado di trasparenza con un tempo cosifatto?

In generale l’atmosfera è fosca; e ciò è cagionato da una pioggia di polvere impalpabile, che si trovò avere lievemente danneggiato gl’istrumenti astronomici. Il mattino prima di aver gettato l’àncora a Porto Praya, io raccolsi un pizzico di quella polvere finissima color bruno, che sembrava essere stata filtrata dal vento attraverso la stoffa della banderuola dell’albero di maestra. Il signor Lyell mi diede pure quattro involtini di polvere che caddero sopra una nave a qualche centinaio di miglia da quelle isole. Il professore Ehrenberg [3] osserva che quella polvere è composta in gran parte d’infusorii muniti di invogli silicei e di tessuto siliceo di vegetali. Nei cinque involtini che io gli mandai, egli riconobbe non meno di sessantasette differenti forme organiche! Eccettuate due specie marine, gl’infusori abitano tutti l’acqua dolce. Ho trovato non meno di quindici relazioni differenti di polvere caduta su navi al largo nell’Atlantico. Dalla direzione del vento mentre cadeva e dall’esser sempre caduta durante quei mesi in cui si sa che l’harmattan solleva nuvoli di polvere nell’aria, possiamo dedurre con certezza che viene dall’Africa. Tuttavia è un fatto singolarissimo che quantunque il professore Ehrenberg conosca molte specie d’infusorii particolari all’Africa, egli non ne abbia trovato nessuno nella polvere che gli mandai: d’altra parte ne rinvenne in essa due specie che egli conosceva già siccome viventi soltanto nell’America meridionale. La polvere cade in tanta quantità da insudiciare ogni cosa a bordo, e dà molestia alle persone negli occhi; vi furono navi che hanno dato in secco per l’oscurità dell’atmosfera. Questa polvere è caduta sulle navi quando erano a qualche centinaio od a qualche migliaio di miglia dalla costa dell’Africa, ed in certi punti lontani mille e seicento miglia in direzione del N-S. In un po’ di polvere che fu raccolta sopra una nave alla distanza di trecento miglia dalla spiaggia, fui molto sorpreso di trovare particelle di pietra superiori ad un quarantesimo di millimetro quadrato, miste con materia più fina. Dopo questo fatto non v’è di che meravigliarsi della diffusione delle ancor più leggere e più piccole spore delle piante crittogame.

La geologia di quest’isola è la parte più interessante della sua storia naturale, Entrando nel porto, si può vedere una striscia bianca perfettamente orizzontale in faccia agli scogli, che corre per alcune miglia lungo la costa, ed all’altezza di circa 13 metri e mezzo sopra l’acqua. Esaminato questo bianco strato, si scorge che si compone di materia calcarea, nella quale stanno incorporate moltissime conchiglie, la maggior parte delle quali o quasi tutte esistono ora sulla costa vicina, Esso riposa sopra antiche roccie vulcaniche, ed è stato coperto da una corrente di basalto, che deve essere entrata nel mare quando lo strato bianco conchifero era ancora al fondo. È molto interessante segnare i mutamenti, prodotti dal calore della lava soprastante, sulla massa friabile, la quale in certe parti è stata convertita in un calcare cristallino, ed in altre parti in una pietra compatta macchiettata. Dove il calcare è stato preso dai frammenti scoriacei della superfice inferiore della corrente, è stato convertito in gruppi di belle fibre raggiate somiglianti all’aragonite. Gli strati di lava salgono in successivi piani dolcemente inclinati allo indentro, dai quali sono venuti in origine diluvi di pietre fuse. Nei tempi storici non si è manifestato, credo, nessun segno di attività vulcanica in nessuna parte di Santiago. E non è neppure tanto facile scoprire la forma di un cratere sulle cime delle tante colline di ceneri rosse; tuttavia si possono distinguere sulla costa le correnti più recenti, che formano catene di scogli meno alti, ma che sporgono in fuori da quelle che appartengono a serie più antiche: così l’altezza degli scogli somministra un calcolo approssimativo dell’età di quelle correnti.

Durante la nostra stazione, osservai i costumi di qualche animale marino. È comunissima colà una grossa Aplisia. Essa è lunga circa dodici centimetri, ed è di colore gialliccio sudicio, venato di rosso. Da ogni lato della superficie inferiore, o piede, v’ha una larga membrana, che sembra talora operare come ventilatore, facendo che una corrente d’acqua scorra sulle branchie dorsali o polmoni. Si nutre di delicate alghe marine che crescono fra i sassi, nell’acqua bassa e melmosa; e trovai nel suo stomaco parecchie piccole ghiaie, come nel ventriglio di un uccello. Stuzzicata questa aplisia emette un finissimo fluido rosso-porpora, che macchia l’acqua per lo spazio di trenta centimetri all’intorno. Oltre a questo mezzo di difesa, essa ha una secrezione acida, di cui è spalmato il suo corpo, e che produce una sensazione astringente sgradevole, simile a quella prodotta dalla Fisalia.

Mi procurò molto piacere l’osservare varie volte i costumi di un Octopus o seppia. Sebbene comuni nei ristagni d’acqua lasciati dalla bassa marea, questi animali non sono facili da prendere. Colle loro lunghe braccia e colle loro ventose, possono insinuarsi fra i più stretti crepacci; e quando sono attaccati a quel modo ci vuole una grande forza per staccarneli. A momenti si slanciano colla parte del corpo opposta al capo allo innanzi, colla rapidità di una freccia, da un lato all’altro dello stagnetto, facendo torbida l’acqua con un inchiostro color castagno scuro. Questi animali riescono a sfuggire alla vista con una facoltà singolarissima, simile a quella del camaleonte, quella di mutar colore. Sembrano variar la loro tinta secondo la natura del terreno sul quale passano; nell’acqua profonda, la loro tinta generale era bruno-porpora, ma quando venivano poste sulla terra o nell’acqua bassa, questa tinta oscura si mutava in verde gialliccio. Il colore, esaminato molto accuratamente, era grigio, con moltissime macchiettine giallo-brillante: il primo variava di intensità: il secondo spariva al tutto e ricompariva a tratti. Questi mutamenti seguivano cosifattamente che si vedevano passare sul suo corpo di continuo nuvole di una tinta che variava dal rosso al castagno bruno[4]. Ogni parte, essendo sottoposta ad una lieve scossa galvanica, diveniva quasi nera: un effetto simile, ma in grado minore, veniva prodotto raschiando la pelle con un ago. Queste nubi, o rossori, come si potrebbero chiamare, si dice siano prodotti da una alterna espansione e contrazione di minute vesciche che contengono fluidi variamente coloriti[5].

Questa seppia spiegava la sua facoltà da camaleonte, tanto nell’atto del nuoto come quando stava immobile al fondo. Mi divertiva molto la vista di vari artifizi per nascondersi, adoperati da un individuo che pareva rendersi ben conto della mia presenza. Rimaneva per un certo tempo immobile, poi si avanzava lentamente tre o quattro centimetri come fa il gatto dietro al topo; talora mutava colore: esso andava in tal modo finchè, giunto in una parte profonda, guizzava via, lasciando dietro a sè una fosca traccia d’inchiostro per nascondere il buco ove era scivolato.

Mentre stava osservando gli animali marini, col capo chinato sugli scogli all’altezza di un metro circa, venni una volta salutato da uno zampillo d’acqua, accompagnato da un lieve rumore stridulante. Dapprima non poteva capire che cosa fosse, ma poi m’avvidi che era quella medesima seppia, la quale, sebbene nascosta in un buco, mi svelava in tal modo il suo nascondiglio. Non v’ha ombra di dubbio che essa abbia la facoltà di mandar fuori uno zampillo d’acqua, e mi parve quasi certo che poteva prender la sua mira dirigendo il tubo o sifone sulla parte inferiore del suo corpo. Per la difficoltà che hanno questi animali a reggere il loro capo, non possono strisciare agevolmente sul terreno. Ne tenni una nel mio stanzino a bordo ed osservai che al buio era un tantino fosforescente.

Roccie di S. Paolo. - Il mattino del 16 febbraio, veleggiando attraverso l’Atlantico, bracciammo in panno molto vicino all’isola di San Paolo. Questo gruppo di scogli è collocato a 0°,58 latitudine nord, ed a 29°,15 longitudine ovest. Dista 540 miglia dalla costa d’America, e 350 miglia dall’isola di Fernando Noronha. Il punto più alto è solo quindici metri circa sopra il livello del mare, e la intera circonferenza è minore di tre quarti di un miglio. Questo piccolo punto sorge ad un tratto dal fondo dell’Oceano. La sua costituzione mineralogica non è semplice; in alcune parti la roccia è di natura quarzosa, in altre feldspatica, con qualche vena di serpentino. È un fatto notevole, che tutte quante le isolette che stanno lungi da ogni continente nel Pacifico, nell’Oceano indiano e nell’Atlantico, eccettuate le isole Sechelles e questa piccola punta di scogli, sono, credo, composte o di coralli o di materia vulcanica. La natura vulcanica di queste isole oceaniche è evidentemente una conseguenza di quella legge, e l’effetto delle stesse cause chimiche o meccaniche, dalle quali risulta che la maggior parte dei vulcani ora in attività sono collocati presso le coste marine o sorgono come isole in mezzo al mare.

Le roccie di San Paolo appaiono da lontano di un color bianco splendente. Questo fatto è dovuto in parte allo sterco di un gran numero di uccelli marini, ed in parte a ciò, che sono coperte di una sostanza dura brillante madreperlacea, che sta intieramente unita alla superficie delle roccie. Questa sostanza, esaminata colla lente, si trova composta di un buon numero di strati sottilissimi, e la sua totale spessezza è di circa due millimetri e mezzo. Contiene molta materia animale, e la sua origine è dovuta senza dubbio all’azione della pioggia o della spuma marina sullo sterco degli uccelli. Sotto ad alcune piccole masse di guano alla Ascensione, ed alle isolette Abrolhos, trovai certi corpi stalattitici ramificati, formati, secondo ogni apparenza, nello stesso modo dello strato bianco che ricopre quelle roccie. I corpi ramificati somigliavano tanto nell’aspetto generale a certe nullipore (famiglia di piante marine dure e calcaree) che, avendo guardato in fretta la mia collezione, non mi accorsi della differenza. Le estremità globulari dei rami sono di una tessitura perlacea, come lo smalto dei denti, ma tanto dura da rigare il vetro. Io posso qui aggiungere, che in una parte della costa dell’Ascensione, ove v’ha un grande ammasso di sabbia conchifera, si depone sugli scogli coperti dalla marea una incrostazione, per l’acqua del mare, che somiglia, come lo mostra la nostra incisione, a certe piante crittogame (Marchantiæ), che si osservano soventi sulle muraglie umide. La superficie delle fronde elegantemente levigata, e quelle parti già formate che sono pienamente esposte alla luce sono di un bel color nero, ma quelle ombreggiate dagli altri strati sono solamente bigie. Ho mostrato a vari geologi gli esemplari di queste incrostazioni, e tutti giudicarono che fossero di origine ignea o vulcanica. Per la sua durezza e pellucidità, per la sua levigatura pareggia le più belle conchiglie del genere Oliva; - pel cattivo odore che manda e per la perdita del colore quando è sottoposta al cannello - mostra una stretta somiglianza colle conchiglie marine viventi. Inoltre, si sa che nelle conchiglie marine, quelle parti che sono per solito coperte dal mantello dell’animale, il colore è più pallido che non quelle che sono pienamente esposte alla luce, come è precisamente il caso di questa incrostazione. Quando pensiamo che la calce, sia come fosfato o come carbonato, entra nella composizione delle parti dure, come le ossa o il nicchio delle conchiglie, di tutti gli animali viventi, è un fatto fisiologico interessante[6] trovare sostanze più dure dello smalto dei denti, e superfici colorite e brunite come le conchiglie recenti, rifatte mercè mezzi inorganici dalla materia organica morta - imitanti pure nella forma alcuni dei prodotti vegetali più bassi.

Trovammo a San Paolo due sole specie di uccelli, la Sula fosca, e la Sterna stolida. Entrambe hanno indole famigliare e stupida, e così poco avvezze ai visitatori, che ne avrei potuto uccidere un numero grandissimo solo col mio martello geologico. La Sula fosca depone le sue uova sulla roccia nuda; ma la Sterna stolida si costruisce un semplice nido con alghe marine. Accanto a molti di quei nidi stava un piccolo pesce volante, il quale suppongo fosse stato portato dal maschio alla sua compagna. Era cosa curiosissima osservare con quanta sveltezza un grosso e vivace granchio (Graspus), che dimora nei fessi della roccia, rubava il pesce che era accanto al nido, appena la nostra presenza aveva fatto allontanare gli uccelli adulti. Il signor W. Symonds, una delle poche persone che sono sbarcate qui, mi ha detto di aver veduto certi granchi trascinar via dal nido anche i giovani uccelli e divorarli. Su quella isoletta non cresce una pianta, neppure un lichene; tuttavia vi hanno posto dimora parecchi insetti e vari ragni. La lista seguente compie, io credo, la fauna terrestre. Un dittero (Olfersia) vive sulla Sula, ed una zecca che è venuta qui come parassita degli uccelli; una farfallina notturna di color bruno, appartenente al genere che si nutre di piume; un coleottero (Quedius), ed un centogambe venivano fuori dallo strato di guano; ed infine, moltissimi ragni, che suppongo diano caccia a quei piccoli dipendenti e seguaci degli uccelli d’acqua. È molto probabile che la descrizione tanto sovente ripetuta, dei maestosi palmizi e di altre nobili piante tropicali, degli uccelli, ed infine dell’uomo che prendeva possesso delle isolette di corallo del Pacifico, non sia al tutto esatta; temo molto di distruggere la parte poetica di questa storia, dicendo che gli insetti che si nutrono di piume e di sudiciume, gl’insetti parassiti ed i ragni debbono essere i primi abitatori delle terre oceaniche di recente formazione.

La più piccola roccia dei mari tropicali, presentando un fondamento allo accrescersi di molte specie di alghe marine e di animali compositi, mantiene pure moltissimo pesce. Gli squali ed i marinai nelle barche lottavano costantemente fra loro per conservare, ognuno per parte sua, la maggior porzione della preda fatta cogli ami e le lenze. Ho sentito dire che una roccia presso alle Bermude, posta a molte miglia in alto mare e molto profonda sotto acqua, fu scoperta per la prima volta dalla circostanza di avervi osservato molto pesce nel contorno.

Fernando Noronha, 20 febbraio. - Da quanto ho potuto osservare nelle poche ore che rimanemmo in questo luogo, la costituzione dell’isola è vulcanica, ma probabilmente non di data recente. Il rilievo più notevole è una collina a cono, alta circa trecento dieci metri, di cui la parte superiore è sommamente ripida, e da un lato sporge in fuori dalla base. La roccia è di fenolite e si divide in colonne irregolari. Osservando una di quelle masse isolate, dapprima si è propensi a credere che sia sorta repentinamente in uno stato semi-fluido. Tuttavia, a Sant’Elena, mi convinsi che alcune guglie di figura e costituzione quasi simile sono state formate dalla iniezione di roccia fusa in letti stratificati, i quali così hanno formato il modello di quei giganteschi obelischi. Tutta l’isola è boscheggiata; ma per la soverchia asciuttezza del clima non vi si vede ricchezza di vegetazione. A mezza strada del monte, alcune grandi masse di roccie a colonna, ombreggiate da piante simili ai lauri, ed ornate da altre coperte di bei fiori rossi, ma senza una sola foglia, abbellivano le parti più vicine del paesaggio.

Bahia o San Salvatore. Brasile, 29 febbraio. - Il giorno che è trascorso è stato deliziosissimo. Tuttavia, il vocabolo delizia è ancor troppo debole per esprimere ciò che sente un naturalista che per la prima volta va in giro in una foresta del Brasile. L’eleganza delle erbe, la novità delle piante parassite, la bellezza dei fiori, il verde brillante del fogliame, ma sopratutto il lussureggiare di tutta la vegetazione, mi colmavano di maraviglia. Un misto stranissimo di suoni e di silenzio domina nelle parti ombrose della foresta. Il ronzìo degli insetti è tanto forte, che si può udire anche da una nave ancorata a qualche centinaio di metri dalla spiaggia; tuttavia nel centro della foresta sembra regnare un silenzio perfetto. Ad una persona amante della storia naturale, una giornata come quella da me goduta procura un piacere più profondo di quello che egli possa mai sperare in avvenire. Dopo aver errato per alcune ore, tornai al luogo ove era sbarcato; ma prima di giungervi fui sorpreso da un temporale dei tropici. Cercai di ricoverarmi sotto un albero, tanto fitto che in Inghilterra mi avrebbe benissimo riparato dalla pioggia; ma qui, in un paio di minuti un torrentello correva giù lungo il tronco. Si è precisamente a queste pioggie violenti che va attribuita la verde vegetazione nel fitto dei boschi; se le pioggie fossero come quelle dei climi più freddi, la maggior parte dell’acqua sarebbe assorbita o svaporata prima di giungere sul suolo. Non starò ora a descrivere la bella vista di questo magnifico golfo, perchè, al ritorno, torneremo a visitarlo, ed allora avrò occasione di parlarne più distesamente.

Lungo tutta la costa del Brasile, per un tratto di almeno 2000 miglia, e certo molto dentro terra, ovunque si presentano roccie solide, esse appartengono alla formazione granitica. Il fatto che questa enorme area è composta di materiali che la maggior parte dei geologi credono essere stati cristallizzati mentre erano caldi o sotto pressione, fa nascere nella mente molte curiose riflessioni. Questo effetto ebbe egli luogo negli abissi di un profondo oceano? Oppure una copertura di strati venne da prima stesa sopra, e poi ritolta? Possiamo noi credere che una forza qualunque, operando per un tempo breve nell’infinito possa avere denudato il granito sopra uno spazio di parecchie migliaia di miglia quadrate?

In un punto non lontano della città, ove un ruscello si scarica nel mare, osservai un fatto che ha rapporto con un soggetto discusso da Humboldt. Alle cateratte dei grandi fiumi Orenoco, Nilo e Congo, le rocce sienitiche sono rivestite di una sostanza nera, che loro dà l’aspetto di essere state lustrate con piombaggine. Lo straticello è sottilissimo; ed analizzato da Berzelius fu trovato composto di ossidi di manganese e di ferro. Nell’Orenoco questo fatto si presenta sulle rocce periodicamente bagnate dalle acque, ed in quelle parti sole ove la corrente è rapida, oppure, come dicono gl’Indiani, ove le acque sono bianche le rocce sono nere. Qui lo strato è di un bel bruno invece d’essere nero, e sembra composto soltanto di materia ferrugginosa. Gli esemplari non possono dare una giusta idea di quelle lucide pietre brune che brillano ai raggi del sole. Si osservano solo nei limiti delle onde della marea; e siccome il ruscelletto scorre lentamente, i marosi debbono avere la facoltà di lustrare che hanno le cateratte dei grandi fiumi. In tal modo il salire e lo scendere della marea tien luogo probabilmente delle inondazioni periodiche; e così gli stessi effetti sono prodotti in circostanze apparentemente differenti, ma in realtà consimili. Tuttavia, l’origine di questi rivestimenti di ossidi metallici, che sembrano cementati colle rocce, non si può spiegare; e non credo che si possa dare una ragione al fatto che la loro spessezza riman sempre la stessa.

Un giorno io ebbi diletto dall’osservare i maneggi di un Diodon antennatus, che stava montando presso la spiaggia. Tutti sanno che questo pesce, colla sua pelle floscia ha la singolar facoltà di distendersi in forma quasi sferica. Tenuto fuori dell’acqua per un po’ di tempo, e poi rimesso nuovamente in essa, assorbiva notevole quantità di acqua e di aria dalla bocca, e forse anche dagli orifici branchiali. Questo processo si compie in due modi: l’aria è aspirata, poi viene spinta nella cavità del corpo, ed una contrazione muscolare, che si può vedere esternamente, impedisce che torni ad uscire: ma l’acqua entra in una dolce corrente dalla bocca, che rimane aperta ed immobile; questa ultima azione deve tuttavia operarsi col succiamento. La pelle dell’addome è molto più floscia che non quella del dorso; quindi, durante il rigonfiamento, la superficie inferiore vien molto più distesa della posteriore, ed in conseguenza, galleggia col dorso allo ingiù. Cuvier dubita che il Diodonte possa nuotare in questa posizione; ma non solo può procedere in linea retta, ma si volge da ogni lato. Quest’ultimo movimento si compie solo coll’aiuto delle pinne pettorali; perchè la coda è rilasciata e non serve. Pel fatto che il corpo è tanto pieno d’aria, le aperture branchiali stanno fuori dell’acqua, ma una corrente di questa che entra dalla bocca, scorre costantemente attraverso di esse.

Il pesce, dopo di esser rimasto per un po’ di tempo in questo stato di distensione, espelle generalmente aria ed acqua con notevole forza dalle aperture branchiali e dalla bocca. Volendo, potrebbe emettere una certa porzione d’acqua: e perciò sembra probabile che questo fluido venga preso in parte collo scopo di regolarizzare la gravità specifica. Questo Diodonte possiede vari mezzi di difesa. Può mordere fortemente e può spingere fuori dalla bocca l’acqua ad una certa distanza, facendo nello stesso tempo uno strano rumore colle mascelle. Enfiando il corpo, le papille di cui è coperta la sua pelle si raddrizzano e divengono pungenti. Ma il fatto più singolare è, che secerne dalla pelle del ventre, quando è preso in mare, una materia fibrosa di un bellissimo color rosso carmino, che macchia l’avorio e la carta in modo permanente, perchè la tinta ha conservato tutto il suo bel colore fino ad oggi: sono affatto all’oscuro della natura e dell’uso di questa secrezione. Ho inteso dire dal dottore Allan di Forres che egli ha spesso trovato un Diodonte vivo galleggiante e disteso nello stomaco di uno squalo; e che in parecchi casi egli ha scorto che il pesce si era aperta, divorando, una via, non solo attraverso le pareti dello stomaco, ma anche attraverso i fianchi del mostro, che in tal modo rimaneva ucciso. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un debole pesciolino possa aver distrutto il grande e fiero pesce-cane?

18 marzo. - Siamo partiti da Bahia. Pochi giorni dopo, non molto lungi dalle isolette Abrolhos, la mia attenzione fu desta dall’aspetto del mare che era colore rosso-bruno. Tutta la superficie dell’acqua veduta con deboli lenti pareva coperta di fieno sminuzzato colle punte frastagliate. Sono minute e cilindriche conferve, in mucchi o zattere composte ognuna di venti o sessanta di esse. Il signor Berkeley mi disse che sono la stessa specie (Trichodesmium erytræum) che si trova sopra grandi tratti del Mar Rosso, e dalla quale deriva il nome di Mar Rosso.

Il loro numero deve essere infinito: il bastimento passava in mezzo a mucchi di esse, di cui uno era largo almeno dieci metri, e, giudicando dal color di mota dell’acqua, lungo almeno due miglia e mezzo. In quasi tutti i viaggi di lungo corso, si parla di queste conferve. Sembrano comuni specialmente nel mare presso l’Australia; e passato il Capo Lesurvin ne trovai una specie affine, ma più piccola, e da quanto pare differente. Nel suo terzo viaggio il capitano Cook avverte che i naviganti davano a quel fatto il nome di mare di segatura.

Presso Kecling Atoll, nell’Oceano Indiano, osservai molte piccole masse di conferve di pochi millimetri quadrati, composte di lunghi fili cilindrici sottilissimi, tanto da essere appena visibili ad occhio nudo, misti ad altri corpi più grandi, finamente conici ai due capi. Due di questi sono disegnati uniti assieme nell’incisione qui annessa; variano in lunghezza da un centimetro ad un centimetro e mezzo, ed anche due centimetri; ed hanno il diametro di un quarto o di un ottavo di millimetro.

Presso una delle estremità della parte cilindrica si osserva generalmente un setto verde, formato di materia granulosa più spesso nel mezzo. Io credo che questo sia il fondo di un sacco delicatissimo e senza colore, composto di una sostanza polposa, che segna l’invoglio esterno, ma non si estende fino dentro agli ultimi punti conici. In alcuni esemplari, certe sfere piccole ma perfette di una materia granulosa bruniccia tengon luogo dei setti; ed io osservai il curioso processo con cui venivano prodotte. La materia polposa della guaina interna si raggruppava repentinamente assieme in linee, alcune delle quali assumevano una forma raggiante da un centro comune; continuava poi, con un moto irregolare e rapido, a contrarsi, cosicchè nel corso di un secondo il tutto era riunito in una perfetta sfericina, che occupava il posto del setto ad un capo del sacco ora al tutto vuoto. La formazione della sfera granulosa veniva affrettata da qualche guasto accidentale. Devo soggiungere, che sovente un paio di questi corpi erano attaccati assieme, come sono rappresentati sopra, cono contro cono, dalla parte dove si presenta il setto.

Aggiungerò qui alcune poche osservazioni riguardo allo scoloramento del mare per cause organiche. Sulla costa del Chilì, a poche miglia al nord della Concezione, la nostra nave passò un giorno in mezzo a grandi strisce di acqua melmosa, precisamente uguale a quella di un fiume molto gonfio; e parimenti ad un grado al sud di Valparaiso, quando eravamo a cinquanta miglia dalla terra, si osservò lo stesso fatto in modo anche più esteso. Messo in un bicchiere due dita di quell’acqua, aveva una tinta rossiccia pallida; ed esaminata col microscopio, vi si vedevano guizzare dentro minutissimi animali, che spesso esplodevano. Hanno forma ovale, e contratta nel mezzo per un anello di ciglia vibratili ricurve. Tuttavia era difficilissimo esaminarli con cura, perchè quando il movimento attuale cessava, il loro corpo, anche passando solo nel campo di visione, scoppiava. Talora scoppiavano i due capi in una volta, talora uno solo, e in quel caso una certa quantità di materia granulosa grossolana, bruniccia, veniva gettata fuori. L’animale un minuto prima di scoppiare si espandeva quasi il doppio del suo volume naturale e l’esplosione seguiva quindici secondi dopo che il movimento progressivo e rapido era cessato: in alcuni pochi casi era preceduto, per un breve intervallo, da un movimento rotatorio sopra l’asse più lungo. Dopo circa due minuti tutti quelli che erano stati isolati in una goccia d’acqua erano cosifattamente periti. Questi animali si muovono coll’apice stretto allo innanzi, coll’aiuto delle loro ciglia vibratili, ed in generale con rapide scosse. Essi sono minutissimi, e al tutto invisibili ad occhio nudo, e coprono solo uno spazio uguale a 26 milionesimi di metro quadrato. Il loro numero era infinito; perchè ogni gocciolina d’acqua che io poteva smuovere ne conteneva moltissimi. In un giorno attraversammo due tratti d’acqua di quel colore, uno dei quali solo doveva avere una estensione di parecchie miglia quadrate. Quale numero sterminato di animali microscopici! Il colore dell’acqua, veduto a una certa distanza, era simile a quello di un fiume che abbia straripato sopra un terreno argilloso; ma sotto l’ombra della nave era al tutto scuro come il cioccolatte. La linea nel punto di unione fra l’acqua rossa e la turchina era distintamente definita. Il tempo essendo stato, nei giorni precedenti, in una calma, il mare abbondava in grado insolito di animali viventi[7].

Nel mare presso la Terra del Fuoco, e non molto lungi dalla costa, ho veduto strette strisce di acqua color rosso brillante, per un gran numero di crostacei, che somigliano in certo modo nella forma a grossi granchiolini. I marinai li chiamano cibo di balena. Non so se le balene si nutrano di essi, ma le sterne, i marangoni ed immensi branchi di grandi e pesanti foche traggono, in alcune parti della costa, il loro principale sostentamento da questi natanti granchiolini. I marinai attribuiscono invariabilmente il fatto dello scoloramento dell’acqua alle uova dei pesci, ma non riconobbi la verità di questo asserto se non una volta. Alla distanza di parecchie miglia dall’Arcipelago delle Galapagos, la nave attraversò tre strisce di acqua color gialliccio oscuro, o color di fango; queste strisce eran lunghe varie miglia, ma larghe solo pochi metri, ed erano separate dall’acqua circostante da un margine sinuoso ma distinto. Il colore era cagionato da pallottoline gelatinose, del diametro di circa ventisei millimetri, nelle quali stavano incorporati moltissimi minuti ovuli sferici: essi erano di due sorta ben distinte; una era di color rossiccio ed aveva forma differente dall’altra. Non ho potuto congetturare a quali specie di animali appartenessero. Il Capitano Colnett osserva, che questo aspetto è comunissimo fra le Isole Galapagos, e che la direzione delle strisce indica quella delle correnti, tuttavia, nel caso sopra menzionato la striscia era cagionata dal vento. L’unico altro caso di questa sorta che io abbia da menzionare, è uno straticello oleoso sull’acqua che spiega colori iridescenti. Sulla costa del Brasile, vidi un tratto notevole dell’oceano coperto in tal modo; i marinai l’attribuirono al carcame putrefatto di qualche balena, che probabilmente galleggiava non molto lontano da quel punto. Non farò qui menzione di quelle minute particelle gelatinose, di cui parlerò in seguito, che sono frequentemente sparse sopra tutta l’acqua, perchè non sono abbastanza abbondanti per produrre qualche mutamento di colore.

Vi sono due circostanze nei ragguagli suddetti che sembrano notevoli; prima, come fanno i vari corpi che formano zone con margini definiti a stare uniti assieme? Nel caso dei granchiolini, i loro movimenti erano tanto concordi quanto quelli di un reggimento di soldati, ma ciò non poteva compiersi negli ovuli nè nelle conferve per via di un qualche cosa di consimile ad un’azione della volontà, nè ciò è neppure probabile negli infusorii. In secondo luogo, quali cause si possono assegnare alla lunghezza ed alla strettezza di quelle strisce? L’aspetto è tanto somigliante a ciò che si può vedere in un corso d’acqua, dove la corrente raduna in lunghe strisce la spuma raccolta nei vortici, che io inclino ad attribuire quell’effetto ad un’azione simile per parte delle correnti del mare o di quelle dell’aria. Supponendo ciò, dobbiamo credere che i vari corpi organizzati sono prodotti in certi luoghi convenienti, e sono in seguito rimossi dall’azione del vento o dell’acqua. Tuttavia confesso che v’ha una gran difficoltà ad immaginare che un dato luogo possa dar nascimento a milioni e milioni di animalucci e di conferve: perchè? donde vengono i germi in quei dati punti? mentre i corpi dei genitori sono stati sparsi dalle onde e dai venti sullo sterminato oceano. Ma io non posso comprendere con un’altra ipotesi il loro aggruppamento lineare. Aggiungerò che Scoresby osserva, che l’acqua verde ove abbondano animali pelagici si trova invariabilmente in una certa parte dell’Oceano artico.



[1] Affermo ciò sulla autorità del dottor E. Dieffenbach, che lo disse nella sua traduzione tedesca della prima edizione di questo Giornale.
[2] Le isole del Capo Verde furono scoperte nel 1449. Vi era la lapide di un vescovo colla data del 1571: ed un rilievo di una mano con un pugnale colla data del 1497.
[3] Colgo questa occasione per far nota la somma gentilezza colla quale questo illustre naturalista ha esaminato parecchi dei miei saggi. Io ho mandato (giugno 1845) un ragguaglio compiuto intorno alla caduta di questa polvere alla Società Geologica di Londra.
[4] Così chiamato secondo la nomenclatura di Patrik Symer.
[5] Vedi Encyclop. of Anat. and Physiol. art. Cephalopoda.
[6] Il signor Homer e sir David Brewster hanno descritto (Philosophical Transactions, 1836, p. 65) una singolare sostanza artificiale somigliante alle conchiglie. Si depone in laminette più trasparenti, levigatissime, di color bruno, che hanno speciali proprietà ottiche, nell’interno di un vaso, nel quale un pannolino preparato prima con colla e poi con calce, vien fatto sciogliere rapidamente nell’acqua. È più morbida, più trasparente, e contiene maggior copia di materia animale che non la incrostazione naturale dell’Ascensione; ma qui vediamo nuovamente la forte tendenza che mostrano il carbonato di calce e la materia animale a formare una sostanza solida affine ai nicchi delle conchiglie.
[7] Il signor Lesson (Voyage de la Coquille, tom. I, p. 255) fa menzione di acqua rossa al di là del Lima, prodotta, da quanto pare, dalla stessa causa. Il distinto naturalista Peron, nel Voyage aux Terres Australes, cita non meno di dodici relazioni di viaggiatori che hanno parlato dello scoloramento delle acque del mare (vol. II, pag. 239). Ai ragguagli dati da Peron si può aggiungere, La narrazione personale di Humboldt, il Viaggio di Flinders, Labillardiere, il Viaggio di Ulloa, il Viaggio dell’Astrolabe e della Coquille; e le ricerche sull’Australia del Capitano King, ecc.

SANT’IAGO - ISOLE DEL CAPO VERDE.

Porto Praya - Ribeira Grande - Polvere atmosferica con Infusorii - Costumi di una Aplisia, e di una Seppia - Roccie di S. Paolo, non vulcaniche - Singolari incrostazioni - Gl’insetti, primi coloni delle isole Fernando Noronha - Bahia - Roccie brunite - Costumi di un Diodonte - Conferve ed Infusorii - Pelagia - Cause dello scoloramento del mare.

Respinto indietro due volte, da un forte vento di sud-ovest, il brigantino da guerra Beagle della regia marina inglese, comandato dal capitano Fitz-Roy, salpò finalmente da Devonport il 27 dicembre 1831. La spedizione aveva per iscopo di fare una ispezione compiuta della Patagonia e della Terra del Fuoco, ispezione cominciata dal capitano King dal 1826 al 1830 - esaminare le spiaggie del Chilì, del Perù e quelle di alcune isole del Pacifico - e fare una serie di misure cronometriche intorno al mondo. Giungemmo il 6 gennaio a Teneriffa, ma non ci fu permesso sbarcare, perchè si temeva a terra che noi portassimo loro il cholera. L’indomani mattina vedemmo spuntare il sole dietro lo scosceso profilo della grande isola delle Canarie, ed illuminare repentinamente il Picco di Teneriffa, mentre le parti più basse erano velate da leggere nubi. Questo fu il primo di una lunga serie di giorni deliziosissimi che non ho mai più dimenticato. Il 16 gennaio 1832, gettammo l’àncora a Porto Praya, a Sant’Iago, la principale isola dell’arcipelago del Capo Verde.

Veduto dal mare il contorno di Porto Praya ha un aspetto desolato. Il fuoco dei vulcani di epoche remote, ed il calore ardentissimo del sole dei tropici, hanno reso in molti punti il suolo inetto alla vegetazione. Il paese sale con successivi altipiani, frammisti ad alcune collinette a cono tronco, e l’orizzonte è limitato da una catena irregolare di monti più alti. La scena veduta attraverso alla fosca atmosfera del clima, è interessantissima, se pure una persona che ha lasciato da poco il mare e per la prima volta passeggia in un bosco di alberi di cocco, può essere buon giudice di qualsiasi cosa tranne che del godimento che prova. In generale l’isola non può essere considerata come molto attraente; ma per chi non conosce che un paesaggio d’Inghilterra, l’aspetto nuovo di una terra al tutto sterile ha un non so che di grandioso, che forse una maggiore vegetazione potrebbe toglierle. Per grandi tratti di pianure coperte di lava non si incontra un filo d’erba; tuttavia gregge di capre ed alcune vacche riescono a trovare di che vivere. Piove molto di rado, ma durante una breve parte dell’anno hanno luogo violenti acquazzoni, dopo i quali spunta immediatamente da ogni crepaccio del terreno una scarsa vegetazione. Questa apparisce in breve, e gli animali vivono del fieno che per tal modo si forma naturalmente. Ora è un anno che non piove. Quando l’isola fu scoperta il contorno immediato di Porto Praya era rivestito di alberi[1], di cui la imprevidente distruzione ha cagionato qui come a Sant’Elena ed in qualche altra isola delle Canarie, una quasi assoluta sterilità. Le valli larghe, profonde, di cui molte fanno ufficio solamente per pochi giorni in una stagione di corsi d’acqua, sono rivestite di boschetti di arbusti senza foglie. Pochi esseri viventi abitano quelle valli. L’uccello che vi s’incontra più comune è un martin pescatore (Dacelo Jagoensis), il quale si posa tutto fiducioso sui rami della pianta detta olio di castoro, e di là piomba sulle lucertole e sui grilli. Ha colori brillanti, ma non è così bello come le specie d’Europa; differisce pure grandemente da questi pel volo, pei costumi e pel luogo ove abita, che in generale è una qualche aridissima valle.

Un giorno andammo due ufficiali ed io a cavallo fino a Ribeira Grande, villaggio poche miglia all’est di Porto Praya. Fino alla valle di San Martino, il paese aveva sempre il suo aspetto brutto e scolorito; ma a quel punto un piccolissimo filo d’acqua produce un freschissimo margine di lussureggiante vegetazione. Nel corso di un’ora giungemmo a Ribeira Grande e ci sorprese la vista di una grande fortezza e di una cattedrale, entrambe diroccate. Questa piccola città era, prima che il suo porto si fosse colmato, il luogo principale dell’isola; ora ha un aspetto melanconico ma molto pittoresco. Essendoci procurati un frate nero per guida ed uno spagnuolo che aveva servito nella guerra peninsulare come interprete, visitammo molti fabbricati, di cui la parte principale si componeva di una chiesa. Qui sono stati sepolti i governatori ed i capitani generali delle isole[2]. Alcune delle lapidi hanno la data del secolo decimosesto. Gli ornamenti araldici erano le sole cose in quel luogo remoto che ci ricordassero l’Europa. La chiesa o cappella formava un lato di un quadrilatero, nel mezzo del quale cresceva un boschetto di alberi di banane. Un altro lato era composto dell’ospedale, che ricoverava una dozzina di miserabili.

Tornammo alla Venda pel pranzo. Un gran numero di uomini, di donne e di bambini, tutti neri come l’inchiostro, si raccolsero per vederci. Essi erano sommamente allegri; ad ogni nostra parola, ad ogni nostro cenno, scoppiavano dalle risa. Prima di lasciare la città andammo a visitare la cattedrale. Non vi sono tante ricchezze come nella chiesa più piccola, ma vanta un piccolo organo, che manda suoni singolarmente disarmonici. Donammo qualche scellino al frate nero, e lo spagnuolo, posandogli la mano sul capo, disse, molto ingenuamente, che non credeva che il colore facesse poi una troppo grande differenza. Tornammo allora il più speditamente possibile coi nostri cavallini a Porto Praya.

Un altro giorno dirigemmo le nostre escursioni verso il villaggio di San Domingo, collocato quasi nel centro dell’isola. Sopra una piccola pianura che attraversammo crescevano alcune acacie mezzo intisichite; le loro cime eransi incurvate, per effetto dei continui venti alisei, in modo singolare - alcune erano anche ad angolo retto col loro tronco. La direzione dei rami era esattamente N-E-N. e S-O-S., e queste banderuole naturali indicano la direzione prevalente dei venti regolari. I viaggiatori hanno lasciato così poche traccie su quel suolo nudo, che perdemmo la strada, e ci volgemmo verso Fuentes. Non ci accorgemmo di questo finchè non fummo giunti sul luogo; ed in seguito rimanemmo contenti di questo sbaglio. Fuentes è un graziosissimo villaggio, con un piccolo corso d’acqua; ed ogni cosa vi sembra prosperosa, tranne invero, quello che era più importante, i suoi abitanti. I bambini neri, al tutto neri e macilenti, portavano fasci di legna da ardere grossi quasi come il loro corpo.

Presso Fuentes vedemmo un grande strupo di galline di Faraone - probabilmente erano in numero di cinquanta o sessanta. Erano timidissime e non ci potemmo avvicinare ad esse. Ci sfuggirono, come le pernici in un giorno piovoso di settembre, correndo col capo sollevato, e se erano inseguite, spiccavano immantinente il volo.

Il paesaggio di San Domingo ha una bellezza al tutto inaspettata, rispetto al carattere cupo che prevale in tutto il rimanente dell’isola. Il villaggio sta in fondo ad una valle, limitata da alti e dentati muri di lava stratificata. Le roccie nere fanno contrasto spiccato colla verde e splendida vegetazione che adorna le sponde di un piccolo corso d’acqua limpidissima. Era un giorno di festa, ed il villaggio era pieno di gente. Al nostro ritorno incontrammo un drappello di una ventina circa di fanciulle nere, vestite con molto buon gusto; la loro pelle nera ed i candidi vestimenti spiccavano maggiormente pei scialli e turbanti coloriti che portavano. Appena fummo loro vicini, esse si misero in circolo, e coprendo il sentiero coi loro scialli, cominciarono a cantare con grande energia una selvaggia canzone, battendo il tempo colle mani e coi piedi. Gettammo loro alcune vinteru, che ricevettero con scoppi di risa, e le lasciammo mentre cantavano con lena raddoppiata.

Un mattino il villaggio era singolarmente chiaro; le montagne lontane spiccavano coi loro frastagliati profili, sopra una cupa striscia di nubi azzurrognole. Giudicando dall’apparenza, e da ciò che aveva osservato in Inghilterra, supposi che l’aria fosse satura di umidità. Tuttavia, il fatto, era interamente l’opposto. L’igrometro dava una differenza di 296 gradi, tra la temperatura dell’aria ed il punto a cui l’umidità si precipita. Questa differenza era quasi il doppio di quella che io aveva osservato le mattine precedenti. Questo insolito grado di asciuttezza atmosferica era accompagnato da continui lampi. Non è forse un caso singolare, questo di trovare un notevole grado di trasparenza con un tempo cosifatto?

In generale l’atmosfera è fosca; e ciò è cagionato da una pioggia di polvere impalpabile, che si trovò avere lievemente danneggiato gl’istrumenti astronomici. Il mattino prima di aver gettato l’àncora a Porto Praya, io raccolsi un pizzico di quella polvere finissima color bruno, che sembrava essere stata filtrata dal vento attraverso la stoffa della banderuola dell’albero di maestra. Il signor Lyell mi diede pure quattro involtini di polvere che caddero sopra una nave a qualche centinaio di miglia da quelle isole. Il professore Ehrenberg [3] osserva che quella polvere è composta in gran parte d’infusorii muniti di invogli silicei e di tessuto siliceo di vegetali. Nei cinque involtini che io gli mandai, egli riconobbe non meno di sessantasette differenti forme organiche! Eccettuate due specie marine, gl’infusori abitano tutti l’acqua dolce. Ho trovato non meno di quindici relazioni differenti di polvere caduta su navi al largo nell’Atlantico. Dalla direzione del vento mentre cadeva e dall’esser sempre caduta durante quei mesi in cui si sa che l’harmattan solleva nuvoli di polvere nell’aria, possiamo dedurre con certezza che viene dall’Africa. Tuttavia è un fatto singolarissimo che quantunque il professore Ehrenberg conosca molte specie d’infusorii particolari all’Africa, egli non ne abbia trovato nessuno nella polvere che gli mandai: d’altra parte ne rinvenne in essa due specie che egli conosceva già siccome viventi soltanto nell’America meridionale. La polvere cade in tanta quantità da insudiciare ogni cosa a bordo, e dà molestia alle persone negli occhi; vi furono navi che hanno dato in secco per l’oscurità dell’atmosfera. Questa polvere è caduta sulle navi quando erano a qualche centinaio od a qualche migliaio di miglia dalla costa dell’Africa, ed in certi punti lontani mille e seicento miglia in direzione del N-S. In un po’ di polvere che fu raccolta sopra una nave alla distanza di trecento miglia dalla spiaggia, fui molto sorpreso di trovare particelle di pietra superiori ad un quarantesimo di millimetro quadrato, miste con materia più fina. Dopo questo fatto non v’è di che meravigliarsi della diffusione delle ancor più leggere e più piccole spore delle piante crittogame.

La geologia di quest’isola è la parte più interessante della sua storia naturale, Entrando nel porto, si può vedere una striscia bianca perfettamente orizzontale in faccia agli scogli, che corre per alcune miglia lungo la costa, ed all’altezza di circa 13 metri e mezzo sopra l’acqua. Esaminato questo bianco strato, si scorge che si compone di materia calcarea, nella quale stanno incorporate moltissime conchiglie, la maggior parte delle quali o quasi tutte esistono ora sulla costa vicina, Esso riposa sopra antiche roccie vulcaniche, ed è stato coperto da una corrente di basalto, che deve essere entrata nel mare quando lo strato bianco conchifero era ancora al fondo. È molto interessante segnare i mutamenti, prodotti dal calore della lava soprastante, sulla massa friabile, la quale in certe parti è stata convertita in un calcare cristallino, ed in altre parti in una pietra compatta macchiettata. Dove il calcare è stato preso dai frammenti scoriacei della superfice inferiore della corrente, è stato convertito in gruppi di belle fibre raggiate somiglianti all’aragonite. Gli strati di lava salgono in successivi piani dolcemente inclinati allo indentro, dai quali sono venuti in origine diluvi di pietre fuse. Nei tempi storici non si è manifestato, credo, nessun segno di attività vulcanica in nessuna parte di Santiago. E non è neppure tanto facile scoprire la forma di un cratere sulle cime delle tante colline di ceneri rosse; tuttavia si possono distinguere sulla costa le correnti più recenti, che formano catene di scogli meno alti, ma che sporgono in fuori da quelle che appartengono a serie più antiche: così l’altezza degli scogli somministra un calcolo approssimativo dell’età di quelle correnti.

Durante la nostra stazione, osservai i costumi di qualche animale marino. È comunissima colà una grossa Aplisia. Essa è lunga circa dodici centimetri, ed è di colore gialliccio sudicio, venato di rosso. Da ogni lato della superficie inferiore, o piede, v’ha una larga membrana, che sembra talora operare come ventilatore, facendo che una corrente d’acqua scorra sulle branchie dorsali o polmoni. Si nutre di delicate alghe marine che crescono fra i sassi, nell’acqua bassa e melmosa; e trovai nel suo stomaco parecchie piccole ghiaie, come nel ventriglio di un uccello. Stuzzicata questa aplisia emette un finissimo fluido rosso-porpora, che macchia l’acqua per lo spazio di trenta centimetri all’intorno. Oltre a questo mezzo di difesa, essa ha una secrezione acida, di cui è spalmato il suo corpo, e che produce una sensazione astringente sgradevole, simile a quella prodotta dalla Fisalia.

Mi procurò molto piacere l’osservare varie volte i costumi di un Octopus o seppia. Sebbene comuni nei ristagni d’acqua lasciati dalla bassa marea, questi animali non sono facili da prendere. Colle loro lunghe braccia e colle loro ventose, possono insinuarsi fra i più stretti crepacci; e quando sono attaccati a quel modo ci vuole una grande forza per staccarneli. A momenti si slanciano colla parte del corpo opposta al capo allo innanzi, colla rapidità di una freccia, da un lato all’altro dello stagnetto, facendo torbida l’acqua con un inchiostro color castagno scuro. Questi animali riescono a sfuggire alla vista con una facoltà singolarissima, simile a quella del camaleonte, quella di mutar colore. Sembrano variar la loro tinta secondo la natura del terreno sul quale passano; nell’acqua profonda, la loro tinta generale era bruno-porpora, ma quando venivano poste sulla terra o nell’acqua bassa, questa tinta oscura si mutava in verde gialliccio. Il colore, esaminato molto accuratamente, era grigio, con moltissime macchiettine giallo-brillante: il primo variava di intensità: il secondo spariva al tutto e ricompariva a tratti. Questi mutamenti seguivano cosifattamente che si vedevano passare sul suo corpo di continuo nuvole di una tinta che variava dal rosso al castagno bruno[4]. Ogni parte, essendo sottoposta ad una lieve scossa galvanica, diveniva quasi nera: un effetto simile, ma in grado minore, veniva prodotto raschiando la pelle con un ago. Queste nubi, o rossori, come si potrebbero chiamare, si dice siano prodotti da una alterna espansione e contrazione di minute vesciche che contengono fluidi variamente coloriti[5].

Questa seppia spiegava la sua facoltà da camaleonte, tanto nell’atto del nuoto come quando stava immobile al fondo. Mi divertiva molto la vista di vari artifizi per nascondersi, adoperati da un individuo che pareva rendersi ben conto della mia presenza. Rimaneva per un certo tempo immobile, poi si avanzava lentamente tre o quattro centimetri come fa il gatto dietro al topo; talora mutava colore: esso andava in tal modo finchè, giunto in una parte profonda, guizzava via, lasciando dietro a sè una fosca traccia d’inchiostro per nascondere il buco ove era scivolato.

Mentre stava osservando gli animali marini, col capo chinato sugli scogli all’altezza di un metro circa, venni una volta salutato da uno zampillo d’acqua, accompagnato da un lieve rumore stridulante. Dapprima non poteva capire che cosa fosse, ma poi m’avvidi che era quella medesima seppia, la quale, sebbene nascosta in un buco, mi svelava in tal modo il suo nascondiglio. Non v’ha ombra di dubbio che essa abbia la facoltà di mandar fuori uno zampillo d’acqua, e mi parve quasi certo che poteva prender la sua mira dirigendo il tubo o sifone sulla parte inferiore del suo corpo. Per la difficoltà che hanno questi animali a reggere il loro capo, non possono strisciare agevolmente sul terreno. Ne tenni una nel mio stanzino a bordo ed osservai che al buio era un tantino fosforescente.

Roccie di S. Paolo. - Il mattino del 16 febbraio, veleggiando attraverso l’Atlantico, bracciammo in panno molto vicino all’isola di San Paolo. Questo gruppo di scogli è collocato a 0°,58 latitudine nord, ed a 29°,15 longitudine ovest. Dista 540 miglia dalla costa d’America, e 350 miglia dall’isola di Fernando Noronha. Il punto più alto è solo quindici metri circa sopra il livello del mare, e la intera circonferenza è minore di tre quarti di un miglio. Questo piccolo punto sorge ad un tratto dal fondo dell’Oceano. La sua costituzione mineralogica non è semplice; in alcune parti la roccia è di natura quarzosa, in altre feldspatica, con qualche vena di serpentino. È un fatto notevole, che tutte quante le isolette che stanno lungi da ogni continente nel Pacifico, nell’Oceano indiano e nell’Atlantico, eccettuate le isole Sechelles e questa piccola punta di scogli, sono, credo, composte o di coralli o di materia vulcanica. La natura vulcanica di queste isole oceaniche è evidentemente una conseguenza di quella legge, e l’effetto delle stesse cause chimiche o meccaniche, dalle quali risulta che la maggior parte dei vulcani ora in attività sono collocati presso le coste marine o sorgono come isole in mezzo al mare.

Le roccie di San Paolo appaiono da lontano di un color bianco splendente. Questo fatto è dovuto in parte allo sterco di un gran numero di uccelli marini, ed in parte a ciò, che sono coperte di una sostanza dura brillante madreperlacea, che sta intieramente unita alla superficie delle roccie. Questa sostanza, esaminata colla lente, si trova composta di un buon numero di strati sottilissimi, e la sua totale spessezza è di circa due millimetri e mezzo. Contiene molta materia animale, e la sua origine è dovuta senza dubbio all’azione della pioggia o della spuma marina sullo sterco degli uccelli. Sotto ad alcune piccole masse di guano alla Ascensione, ed alle isolette Abrolhos, trovai certi corpi stalattitici ramificati, formati, secondo ogni apparenza, nello stesso modo dello strato bianco che ricopre quelle roccie. I corpi ramificati somigliavano tanto nell’aspetto generale a certe nullipore (famiglia di piante marine dure e calcaree) che, avendo guardato in fretta la mia collezione, non mi accorsi della differenza. Le estremità globulari dei rami sono di una tessitura perlacea, come lo smalto dei denti, ma tanto dura da rigare il vetro. Io posso qui aggiungere, che in una parte della costa dell’Ascensione, ove v’ha un grande ammasso di sabbia conchifera, si depone sugli scogli coperti dalla marea una incrostazione, per l’acqua del mare, che somiglia, come lo mostra la nostra incisione, a certe piante crittogame (Marchantiæ), che si osservano soventi sulle muraglie umide. La superficie delle fronde elegantemente levigata, e quelle parti già formate che sono pienamente esposte alla luce sono di un bel color nero, ma quelle ombreggiate dagli altri strati sono solamente bigie. Ho mostrato a vari geologi gli esemplari di queste incrostazioni, e tutti giudicarono che fossero di origine ignea o vulcanica. Per la sua durezza e pellucidità, per la sua levigatura pareggia le più belle conchiglie del genere Oliva; - pel cattivo odore che manda e per la perdita del colore quando è sottoposta al cannello - mostra una stretta somiglianza colle conchiglie marine viventi. Inoltre, si sa che nelle conchiglie marine, quelle parti che sono per solito coperte dal mantello dell’animale, il colore è più pallido che non quelle che sono pienamente esposte alla luce, come è precisamente il caso di questa incrostazione. Quando pensiamo che la calce, sia come fosfato o come carbonato, entra nella composizione delle parti dure, come le ossa o il nicchio delle conchiglie, di tutti gli animali viventi, è un fatto fisiologico interessante[6] trovare sostanze più dure dello smalto dei denti, e superfici colorite e brunite come le conchiglie recenti, rifatte mercè mezzi inorganici dalla materia organica morta - imitanti pure nella forma alcuni dei prodotti vegetali più bassi.

Trovammo a San Paolo due sole specie di uccelli, la Sula fosca, e la Sterna stolida. Entrambe hanno indole famigliare e stupida, e così poco avvezze ai visitatori, che ne avrei potuto uccidere un numero grandissimo solo col mio martello geologico. La Sula fosca depone le sue uova sulla roccia nuda; ma la Sterna stolida si costruisce un semplice nido con alghe marine. Accanto a molti di quei nidi stava un piccolo pesce volante, il quale suppongo fosse stato portato dal maschio alla sua compagna. Era cosa curiosissima osservare con quanta sveltezza un grosso e vivace granchio (Graspus), che dimora nei fessi della roccia, rubava il pesce che era accanto al nido, appena la nostra presenza aveva fatto allontanare gli uccelli adulti. Il signor W. Symonds, una delle poche persone che sono sbarcate qui, mi ha detto di aver veduto certi granchi trascinar via dal nido anche i giovani uccelli e divorarli. Su quella isoletta non cresce una pianta, neppure un lichene; tuttavia vi hanno posto dimora parecchi insetti e vari ragni. La lista seguente compie, io credo, la fauna terrestre. Un dittero (Olfersia) vive sulla Sula, ed una zecca che è venuta qui come parassita degli uccelli; una farfallina notturna di color bruno, appartenente al genere che si nutre di piume; un coleottero (Quedius), ed un centogambe venivano fuori dallo strato di guano; ed infine, moltissimi ragni, che suppongo diano caccia a quei piccoli dipendenti e seguaci degli uccelli d’acqua. È molto probabile che la descrizione tanto sovente ripetuta, dei maestosi palmizi e di altre nobili piante tropicali, degli uccelli, ed infine dell’uomo che prendeva possesso delle isolette di corallo del Pacifico, non sia al tutto esatta; temo molto di distruggere la parte poetica di questa storia, dicendo che gli insetti che si nutrono di piume e di sudiciume, gl’insetti parassiti ed i ragni debbono essere i primi abitatori delle terre oceaniche di recente formazione.

La più piccola roccia dei mari tropicali, presentando un fondamento allo accrescersi di molte specie di alghe marine e di animali compositi, mantiene pure moltissimo pesce. Gli squali ed i marinai nelle barche lottavano costantemente fra loro per conservare, ognuno per parte sua, la maggior porzione della preda fatta cogli ami e le lenze. Ho sentito dire che una roccia presso alle Bermude, posta a molte miglia in alto mare e molto profonda sotto acqua, fu scoperta per la prima volta dalla circostanza di avervi osservato molto pesce nel contorno.

Fernando Noronha, 20 febbraio. - Da quanto ho potuto osservare nelle poche ore che rimanemmo in questo luogo, la costituzione dell’isola è vulcanica, ma probabilmente non di data recente. Il rilievo più notevole è una collina a cono, alta circa trecento dieci metri, di cui la parte superiore è sommamente ripida, e da un lato sporge in fuori dalla base. La roccia è di fenolite e si divide in colonne irregolari. Osservando una di quelle masse isolate, dapprima si è propensi a credere che sia sorta repentinamente in uno stato semi-fluido. Tuttavia, a Sant’Elena, mi convinsi che alcune guglie di figura e costituzione quasi simile sono state formate dalla iniezione di roccia fusa in letti stratificati, i quali così hanno formato il modello di quei giganteschi obelischi. Tutta l’isola è boscheggiata; ma per la soverchia asciuttezza del clima non vi si vede ricchezza di vegetazione. A mezza strada del monte, alcune grandi masse di roccie a colonna, ombreggiate da piante simili ai lauri, ed ornate da altre coperte di bei fiori rossi, ma senza una sola foglia, abbellivano le parti più vicine del paesaggio.

Bahia o San Salvatore. Brasile, 29 febbraio. - Il giorno che è trascorso è stato deliziosissimo. Tuttavia, il vocabolo delizia è ancor troppo debole per esprimere ciò che sente un naturalista che per la prima volta va in giro in una foresta del Brasile. L’eleganza delle erbe, la novità delle piante parassite, la bellezza dei fiori, il verde brillante del fogliame, ma sopratutto il lussureggiare di tutta la vegetazione, mi colmavano di maraviglia. Un misto stranissimo di suoni e di silenzio domina nelle parti ombrose della foresta. Il ronzìo degli insetti è tanto forte, che si può udire anche da una nave ancorata a qualche centinaio di metri dalla spiaggia; tuttavia nel centro della foresta sembra regnare un silenzio perfetto. Ad una persona amante della storia naturale, una giornata come quella da me goduta procura un piacere più profondo di quello che egli possa mai sperare in avvenire. Dopo aver errato per alcune ore, tornai al luogo ove era sbarcato; ma prima di giungervi fui sorpreso da un temporale dei tropici. Cercai di ricoverarmi sotto un albero, tanto fitto che in Inghilterra mi avrebbe benissimo riparato dalla pioggia; ma qui, in un paio di minuti un torrentello correva giù lungo il tronco. Si è precisamente a queste pioggie violenti che va attribuita la verde vegetazione nel fitto dei boschi; se le pioggie fossero come quelle dei climi più freddi, la maggior parte dell’acqua sarebbe assorbita o svaporata prima di giungere sul suolo. Non starò ora a descrivere la bella vista di questo magnifico golfo, perchè, al ritorno, torneremo a visitarlo, ed allora avrò occasione di parlarne più distesamente.

Lungo tutta la costa del Brasile, per un tratto di almeno 2000 miglia, e certo molto dentro terra, ovunque si presentano roccie solide, esse appartengono alla formazione granitica. Il fatto che questa enorme area è composta di materiali che la maggior parte dei geologi credono essere stati cristallizzati mentre erano caldi o sotto pressione, fa nascere nella mente molte curiose riflessioni. Questo effetto ebbe egli luogo negli abissi di un profondo oceano? Oppure una copertura di strati venne da prima stesa sopra, e poi ritolta? Possiamo noi credere che una forza qualunque, operando per un tempo breve nell’infinito possa avere denudato il granito sopra uno spazio di parecchie migliaia di miglia quadrate?

In un punto non lontano della città, ove un ruscello si scarica nel mare, osservai un fatto che ha rapporto con un soggetto discusso da Humboldt. Alle cateratte dei grandi fiumi Orenoco, Nilo e Congo, le rocce sienitiche sono rivestite di una sostanza nera, che loro dà l’aspetto di essere state lustrate con piombaggine. Lo straticello è sottilissimo; ed analizzato da Berzelius fu trovato composto di ossidi di manganese e di ferro. Nell’Orenoco questo fatto si presenta sulle rocce periodicamente bagnate dalle acque, ed in quelle parti sole ove la corrente è rapida, oppure, come dicono gl’Indiani, ove le acque sono bianche le rocce sono nere. Qui lo strato è di un bel bruno invece d’essere nero, e sembra composto soltanto di materia ferrugginosa. Gli esemplari non possono dare una giusta idea di quelle lucide pietre brune che brillano ai raggi del sole. Si osservano solo nei limiti delle onde della marea; e siccome il ruscelletto scorre lentamente, i marosi debbono avere la facoltà di lustrare che hanno le cateratte dei grandi fiumi. In tal modo il salire e lo scendere della marea tien luogo probabilmente delle inondazioni periodiche; e così gli stessi effetti sono prodotti in circostanze apparentemente differenti, ma in realtà consimili. Tuttavia, l’origine di questi rivestimenti di ossidi metallici, che sembrano cementati colle rocce, non si può spiegare; e non credo che si possa dare una ragione al fatto che la loro spessezza riman sempre la stessa.

Un giorno io ebbi diletto dall’osservare i maneggi di un Diodon antennatus, che stava montando presso la spiaggia. Tutti sanno che questo pesce, colla sua pelle floscia ha la singolar facoltà di distendersi in forma quasi sferica. Tenuto fuori dell’acqua per un po’ di tempo, e poi rimesso nuovamente in essa, assorbiva notevole quantità di acqua e di aria dalla bocca, e forse anche dagli orifici branchiali. Questo processo si compie in due modi: l’aria è aspirata, poi viene spinta nella cavità del corpo, ed una contrazione muscolare, che si può vedere esternamente, impedisce che torni ad uscire: ma l’acqua entra in una dolce corrente dalla bocca, che rimane aperta ed immobile; questa ultima azione deve tuttavia operarsi col succiamento. La pelle dell’addome è molto più floscia che non quella del dorso; quindi, durante il rigonfiamento, la superficie inferiore vien molto più distesa della posteriore, ed in conseguenza, galleggia col dorso allo ingiù. Cuvier dubita che il Diodonte possa nuotare in questa posizione; ma non solo può procedere in linea retta, ma si volge da ogni lato. Quest’ultimo movimento si compie solo coll’aiuto delle pinne pettorali; perchè la coda è rilasciata e non serve. Pel fatto che il corpo è tanto pieno d’aria, le aperture branchiali stanno fuori dell’acqua, ma una corrente di questa che entra dalla bocca, scorre costantemente attraverso di esse.

Il pesce, dopo di esser rimasto per un po’ di tempo in questo stato di distensione, espelle generalmente aria ed acqua con notevole forza dalle aperture branchiali e dalla bocca. Volendo, potrebbe emettere una certa porzione d’acqua: e perciò sembra probabile che questo fluido venga preso in parte collo scopo di regolarizzare la gravità specifica. Questo Diodonte possiede vari mezzi di difesa. Può mordere fortemente e può spingere fuori dalla bocca l’acqua ad una certa distanza, facendo nello stesso tempo uno strano rumore colle mascelle. Enfiando il corpo, le papille di cui è coperta la sua pelle si raddrizzano e divengono pungenti. Ma il fatto più singolare è, che secerne dalla pelle del ventre, quando è preso in mare, una materia fibrosa di un bellissimo color rosso carmino, che macchia l’avorio e la carta in modo permanente, perchè la tinta ha conservato tutto il suo bel colore fino ad oggi: sono affatto all’oscuro della natura e dell’uso di questa secrezione. Ho inteso dire dal dottore Allan di Forres che egli ha spesso trovato un Diodonte vivo galleggiante e disteso nello stomaco di uno squalo; e che in parecchi casi egli ha scorto che il pesce si era aperta, divorando, una via, non solo attraverso le pareti dello stomaco, ma anche attraverso i fianchi del mostro, che in tal modo rimaneva ucciso. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un debole pesciolino possa aver distrutto il grande e fiero pesce-cane?

18 marzo. - Siamo partiti da Bahia. Pochi giorni dopo, non molto lungi dalle isolette Abrolhos, la mia attenzione fu desta dall’aspetto del mare che era colore rosso-bruno. Tutta la superficie dell’acqua veduta con deboli lenti pareva coperta di fieno sminuzzato colle punte frastagliate. Sono minute e cilindriche conferve, in mucchi o zattere composte ognuna di venti o sessanta di esse. Il signor Berkeley mi disse che sono la stessa specie (Trichodesmium erytræum) che si trova sopra grandi tratti del Mar Rosso, e dalla quale deriva il nome di Mar Rosso.

Il loro numero deve essere infinito: il bastimento passava in mezzo a mucchi di esse, di cui uno era largo almeno dieci metri, e, giudicando dal color di mota dell’acqua, lungo almeno due miglia e mezzo. In quasi tutti i viaggi di lungo corso, si parla di queste conferve. Sembrano comuni specialmente nel mare presso l’Australia; e passato il Capo Lesurvin ne trovai una specie affine, ma più piccola, e da quanto pare differente. Nel suo terzo viaggio il capitano Cook avverte che i naviganti davano a quel fatto il nome di mare di segatura.

Presso Kecling Atoll, nell’Oceano Indiano, osservai molte piccole masse di conferve di pochi millimetri quadrati, composte di lunghi fili cilindrici sottilissimi, tanto da essere appena visibili ad occhio nudo, misti ad altri corpi più grandi, finamente conici ai due capi. Due di questi sono disegnati uniti assieme nell’incisione qui annessa; variano in lunghezza da un centimetro ad un centimetro e mezzo, ed anche due centimetri; ed hanno il diametro di un quarto o di un ottavo di millimetro.

Presso una delle estremità della parte cilindrica si osserva generalmente un setto verde, formato di materia granulosa più spesso nel mezzo. Io credo che questo sia il fondo di un sacco delicatissimo e senza colore, composto di una sostanza polposa, che segna l’invoglio esterno, ma non si estende fino dentro agli ultimi punti conici. In alcuni esemplari, certe sfere piccole ma perfette di una materia granulosa bruniccia tengon luogo dei setti; ed io osservai il curioso processo con cui venivano prodotte. La materia polposa della guaina interna si raggruppava repentinamente assieme in linee, alcune delle quali assumevano una forma raggiante da un centro comune; continuava poi, con un moto irregolare e rapido, a contrarsi, cosicchè nel corso di un secondo il tutto era riunito in una perfetta sfericina, che occupava il posto del setto ad un capo del sacco ora al tutto vuoto. La formazione della sfera granulosa veniva affrettata da qualche guasto accidentale. Devo soggiungere, che sovente un paio di questi corpi erano attaccati assieme, come sono rappresentati sopra, cono contro cono, dalla parte dove si presenta il setto.

Aggiungerò qui alcune poche osservazioni riguardo allo scoloramento del mare per cause organiche. Sulla costa del Chilì, a poche miglia al nord della Concezione, la nostra nave passò un giorno in mezzo a grandi strisce di acqua melmosa, precisamente uguale a quella di un fiume molto gonfio; e parimenti ad un grado al sud di Valparaiso, quando eravamo a cinquanta miglia dalla terra, si osservò lo stesso fatto in modo anche più esteso. Messo in un bicchiere due dita di quell’acqua, aveva una tinta rossiccia pallida; ed esaminata col microscopio, vi si vedevano guizzare dentro minutissimi animali, che spesso esplodevano. Hanno forma ovale, e contratta nel mezzo per un anello di ciglia vibratili ricurve. Tuttavia era difficilissimo esaminarli con cura, perchè quando il movimento attuale cessava, il loro corpo, anche passando solo nel campo di visione, scoppiava. Talora scoppiavano i due capi in una volta, talora uno solo, e in quel caso una certa quantità di materia granulosa grossolana, bruniccia, veniva gettata fuori. L’animale un minuto prima di scoppiare si espandeva quasi il doppio del suo volume naturale e l’esplosione seguiva quindici secondi dopo che il movimento progressivo e rapido era cessato: in alcuni pochi casi era preceduto, per un breve intervallo, da un movimento rotatorio sopra l’asse più lungo. Dopo circa due minuti tutti quelli che erano stati isolati in una goccia d’acqua erano cosifattamente periti. Questi animali si muovono coll’apice stretto allo innanzi, coll’aiuto delle loro ciglia vibratili, ed in generale con rapide scosse. Essi sono minutissimi, e al tutto invisibili ad occhio nudo, e coprono solo uno spazio uguale a 26 milionesimi di metro quadrato. Il loro numero era infinito; perchè ogni gocciolina d’acqua che io poteva smuovere ne conteneva moltissimi. In un giorno attraversammo due tratti d’acqua di quel colore, uno dei quali solo doveva avere una estensione di parecchie miglia quadrate. Quale numero sterminato di animali microscopici! Il colore dell’acqua, veduto a una certa distanza, era simile a quello di un fiume che abbia straripato sopra un terreno argilloso; ma sotto l’ombra della nave era al tutto scuro come il cioccolatte. La linea nel punto di unione fra l’acqua rossa e la turchina era distintamente definita. Il tempo essendo stato, nei giorni precedenti, in una calma, il mare abbondava in grado insolito di animali viventi[7].

Nel mare presso la Terra del Fuoco, e non molto lungi dalla costa, ho veduto strette strisce di acqua color rosso brillante, per un gran numero di crostacei, che somigliano in certo modo nella forma a grossi granchiolini. I marinai li chiamano cibo di balena. Non so se le balene si nutrano di essi, ma le sterne, i marangoni ed immensi branchi di grandi e pesanti foche traggono, in alcune parti della costa, il loro principale sostentamento da questi natanti granchiolini. I marinai attribuiscono invariabilmente il fatto dello scoloramento dell’acqua alle uova dei pesci, ma non riconobbi la verità di questo asserto se non una volta. Alla distanza di parecchie miglia dall’Arcipelago delle Galapagos, la nave attraversò tre strisce di acqua color gialliccio oscuro, o color di fango; queste strisce eran lunghe varie miglia, ma larghe solo pochi metri, ed erano separate dall’acqua circostante da un margine sinuoso ma distinto. Il colore era cagionato da pallottoline gelatinose, del diametro di circa ventisei millimetri, nelle quali stavano incorporati moltissimi minuti ovuli sferici: essi erano di due sorta ben distinte; una era di color rossiccio ed aveva forma differente dall’altra. Non ho potuto congetturare a quali specie di animali appartenessero. Il Capitano Colnett osserva, che questo aspetto è comunissimo fra le Isole Galapagos, e che la direzione delle strisce indica quella delle correnti, tuttavia, nel caso sopra menzionato la striscia era cagionata dal vento. L’unico altro caso di questa sorta che io abbia da menzionare, è uno straticello oleoso sull’acqua che spiega colori iridescenti. Sulla costa del Brasile, vidi un tratto notevole dell’oceano coperto in tal modo; i marinai l’attribuirono al carcame putrefatto di qualche balena, che probabilmente galleggiava non molto lontano da quel punto. Non farò qui menzione di quelle minute particelle gelatinose, di cui parlerò in seguito, che sono frequentemente sparse sopra tutta l’acqua, perchè non sono abbastanza abbondanti per produrre qualche mutamento di colore.

Vi sono due circostanze nei ragguagli suddetti che sembrano notevoli; prima, come fanno i vari corpi che formano zone con margini definiti a stare uniti assieme? Nel caso dei granchiolini, i loro movimenti erano tanto concordi quanto quelli di un reggimento di soldati, ma ciò non poteva compiersi negli ovuli nè nelle conferve per via di un qualche cosa di consimile ad un’azione della volontà, nè ciò è neppure probabile negli infusorii. In secondo luogo, quali cause si possono assegnare alla lunghezza ed alla strettezza di quelle strisce? L’aspetto è tanto somigliante a ciò che si può vedere in un corso d’acqua, dove la corrente raduna in lunghe strisce la spuma raccolta nei vortici, che io inclino ad attribuire quell’effetto ad un’azione simile per parte delle correnti del mare o di quelle dell’aria. Supponendo ciò, dobbiamo credere che i vari corpi organizzati sono prodotti in certi luoghi convenienti, e sono in seguito rimossi dall’azione del vento o dell’acqua. Tuttavia confesso che v’ha una gran difficoltà ad immaginare che un dato luogo possa dar nascimento a milioni e milioni di animalucci e di conferve: perchè? donde vengono i germi in quei dati punti? mentre i corpi dei genitori sono stati sparsi dalle onde e dai venti sullo sterminato oceano. Ma io non posso comprendere con un’altra ipotesi il loro aggruppamento lineare. Aggiungerò che Scoresby osserva, che l’acqua verde ove abbondano animali pelagici si trova invariabilmente in una certa parte dell’Oceano artico.



[1] Affermo ciò sulla autorità del dottor E. Dieffenbach, che lo disse nella sua traduzione tedesca della prima edizione di questo Giornale.
[2] Le isole del Capo Verde furono scoperte nel 1449. Vi era la lapide di un vescovo colla data del 1571: ed un rilievo di una mano con un pugnale colla data del 1497.
[3] Colgo questa occasione per far nota la somma gentilezza colla quale questo illustre naturalista ha esaminato parecchi dei miei saggi. Io ho mandato (giugno 1845) un ragguaglio compiuto intorno alla caduta di questa polvere alla Società Geologica di Londra.
[4] Così chiamato secondo la nomenclatura di Patrik Symer.
[5] Vedi Encyclop. of Anat. and Physiol. art. Cephalopoda.
[6] Il signor Homer e sir David Brewster hanno descritto (Philosophical Transactions, 1836, p. 65) una singolare sostanza artificiale somigliante alle conchiglie. Si depone in laminette più trasparenti, levigatissime, di color bruno, che hanno speciali proprietà ottiche, nell’interno di un vaso, nel quale un pannolino preparato prima con colla e poi con calce, vien fatto sciogliere rapidamente nell’acqua. È più morbida, più trasparente, e contiene maggior copia di materia animale che non la incrostazione naturale dell’Ascensione; ma qui vediamo nuovamente la forte tendenza che mostrano il carbonato di calce e la materia animale a formare una sostanza solida affine ai nicchi delle conchiglie.
[7] Il signor Lesson (Voyage de la Coquille, tom. I, p. 255) fa menzione di acqua rossa al di là del Lima, prodotta, da quanto pare, dalla stessa causa. Il distinto naturalista Peron, nel Voyage aux Terres Australes, cita non meno di dodici relazioni di viaggiatori che hanno parlato dello scoloramento delle acque del mare (vol. II, pag. 239). Ai ragguagli dati da Peron si può aggiungere, La narrazione personale di Humboldt, il Viaggio di Flinders, Labillardiere, il Viaggio di Ulloa, il Viaggio dell’Astrolabe e della Coquille; e le ricerche sull’Australia del Capitano King, ecc.



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