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Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift
Friedrich Wilhelm Nietzsche
(1888)

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Genealogia della morale Zur Genealogie der Moral
Capitolo 11.
Noi che ricerchiamo la conoscenza, ci siamo sconosciuti, noi stessi ignoti a noi stessi, e la cosa ha le sue buone ragioni. Noi non ci siamo mai cercati, e come avremmo mai potuto, un bel giorno, trovarci? Si è detto e a ragione: «Dove è il vostro tesoro, è anche il vostro cuore», il nostro tesoro si trova dove sono gli alveari della nostra conoscenza. E per questo siamo sempre in movimento, come veri e propri animali alati e raccoglitori di miele dello spirito, preoccupati in realtà solo e unicamente di una cosa, di «portare a casa» qualcosa. Di fronte alla vita, poi, e a quello che concerne le cosiddette «esperienze», chi di noi mai ha anche solo la serietà necessaria? O il tempo necessario? Di queste cose, temo, non ci siamo mai veramente «occupati», infatti il nostro cuore è altrove, e anche le nostre orecchie! Simili piuttosto a chi, divinamente distratto e immerso in se stesso ha appena avuto le orecchie percosse dal suono della campana che con tutta la sua forza ha annunziato il mezzogiorno con dodici rintocchi, e si sveglia all’improvviso e si chiede «che suono è mai questo?», così noi, di quando in quando, dopo, ci stropicciamo le orecchie tutti sorpresi e imbarazzati e chiediamo «che cosa mai abbiamo realmente vissuto?» o ancora «chi siamo noi in realtà?» e contiamo solo dopo, come si è detto, tutti e dodici i frementi rintocchi della nostra esperienza, della nostra vita, del nostro essere – ahimè – e sbagliamo a contare… Infatti necessariamente rimaniamo estranei a noi stessi, non ci capiamo, dobbiamo scambiarci per altri, per noi vale per l’eternità, la frase «ognuno è per se stesso la cosa più lontana», noi non ci riconosciamo come gente che «ricerca la conoscenza»…




Wir sind uns unbekannt, wir Erkennenden, wir selbst uns selbst: das hat seinen guten Grund. Wir haben nie nach uns gesucht – wie sollte es geschehn, daß wir eines Tages uns fänden? Mit Recht hat man gesagt: »wo euer Schatz ist, da ist auch euer Herz«; unser Schatz ist, wo die Bienenkörbe unsrer Erkenntnis stehn. Wir sind immer dazu unterwegs, als geborne Flügeltiere und Honigsammler des Geistes, wir kümmern uns von Herzen eigentlich nur um eins – etwas »heimzubringen«. Was das Leben sonst, die sogenannten »Erlebnisse« angeht – wer von uns hat dafür auch nur Ernst genug? Oder Zeit genug? Bei solchen Sachen waren wir, fürchte ich, nie recht »bei der Sache«: wir haben eben unser Herz nicht dort – und nicht einmal unser Ohr! Vielmehr wie ein Göttlich-Zerstreuter und In-sich-Versenkter, dem die Glocke eben mit aller Macht ihre zwölf Schläge des Mittags ins Ohr gedröhnt hat, mit einem Male aufwacht und sich fragt »was hat es da eigentlich geschlagen?« so reiben auch wir uns mitunter hinterdrein die Ohren und fragen, ganz erstaunt, ganz betreten, »was haben wir da eigentlich erlebt?« mehr noch: »wer sind wir eigentlich?« und zählen nach, hinterdrein, wie gesagt, alle die zitternden zwölf Glockenschläge unsres Erlebnisses, unsres Lebens, unsres Seins – ach! und verzählen uns dabei ... Wir bleiben uns eben notwendig fremd, wir verstehn uns nicht, wir müssen uns verwechseln, für uns heißt der Satz in alle Ewigkeit »Jeder ist sich selbst der Fernste« – für uns sind wir keine »Erkennenden«...




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