Jenseits von Gut und Böse Friedrich Wilhelm Nietzsche (1886) | |||
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Al di là del bene e del male | Par delà le bien et le mal | ||
PREFAZIONE | AVANT-PROPOS | ||
Posto che la verità sia una donna –, e perché no? non è forse fondato il sospetto che tutti i filosofi, in quanto furono dogmatici, s’intendevano poco di donne? che la terribile serietà, la sgraziata invadenza con cui essi, fino a oggi, erano soliti accostarsi alla verità, costituivano dei mezzi maldestri e inopportuni per guadagnarsi appunto i favori di una donna? – certo è che essa non si è lasciata sedurre – e oggi ogni specie di dogmatica se ne sta lì in attitudine mesta e scoraggiata. Ammesso che essa in generale se ne stia ancora in piedi! Giacché ci sono degli schernitori, i quali affermano che essa sarebbe caduta, che ogni dogmatica sarebbe stesa al suolo, e più ancora, che ogni dogmatica starebbe per rendere l’ultimo respiro. Seriamente parlando, ci sono buone ragioni per sperare che in filosofia ogni dogmatizzare, per quanto si sia atteggiato in maniera pomposa, definitivamente e universalmente valida, possa essere stato soltanto una nobile bambocciata e una cosa da principianti; e che è forse assai prossimo il tempo in cui si comprenderà sempre più che cosa propriamente è stato sufficiente per fornire le fondamenta a tali sublimi e assolute costruzioni dei filosofi, quali i dogmatici fino a oggi hanno edificato, – una qualche superstizione popolare di età immemorabile (come la superstizione dell’anima che, quale superstizione del soggetto e dell’io, ancor oggi non ha cessato di creare disordini), forse un qualche giuoco di parole, una seduzione da parte della grammatica o una temeraria generalizzazione di dati di fatto molto angusti, molto personali, molto umani, troppo umani. La filosofia dei dogmatici è stata, vogliamo sperarlo, soltanto una promessa per i secoli avvenire: come in epoca ancor più lontana fu l’astrologia, al servizio della quale è stato forse sperperato più lavoro, danaro, sagacia, pazienza di quanto non sia stato fatto fino a oggi per qualsiasi vera scienza – si deve alle sue pretese «ultraterrene» lo stile grandioso dell’architettura in Asia e in Egitto. Si direbbe che tutte le cose grandi, per poter inscriversi nel cuore dell’umanità con le loro eterne esigenze, debbano prima trascorrere sulla terra come caricature mostruose e terrificanti: una tale caricatura è stata la filosofia dogmatica, per esempio la dottrina dei Vedanta in Asia, il platonismo in Europa. Non si deve essere irriconoscenti verso di essa, per quanto si debba senz’altro confessare che il peggiore e il più ostinato e pericoloso di tutti gli errori sia stato, fino a oggi, un errore da dogmatici, vale a dire l’invenzione platonica del puro spirito e del bene in sé. Ma ora che esso è superato, ora che l’Europa, liberata da questo incubo, riprende fiato e per lo meno può godere un sonno più sano, siamo noi, il cui compito è precisamente quello di vegliare, gli eredi di tutta quella forza che è stata allevata e ingrandita dalla lotta contro questo errore. Significherebbe davvero capovolgere la verità e negare il carattere prospettico, la condizione fondamentale di ogni vita, se si parlasse dello spirito e del bene, come ha fatto Platone; anzi, come medici, si potrebbe formulare questa domanda: «Donde è venuta una tale malattia in Platone, il figlio più bello dell’antichità? Lo ha dunque corrotto il maligno Socrate? Socrate sarebbe stato veramente il corruttore della gioventù? e avrebbe meritato la sua cicuta?». – Ma la lotta contro Platone o, per esprimerci in modo più accessibile e adatto al «popolo», la lotta contro la secolare oppressione cristiano-ecclesiastica – giacché il cristianesimo è un platonismo per il «popolo» – ha creato in Europa una splendida tensione dello spirito come ancora non si era avuta sulla terra: con un arco teso a tal punto si può ormai prendere a bersaglio le mete più lontane. Indubbiamente, l’uomo europeo avverte questa tensione come una condizione penosa: e già due volte è stato fatto il tentativo in grande stile di allentare l’arco, la prima col gesuitismo, la seconda con l’illuminismo democratico – come quello che, grazie all’aiuto della libertà di stampa e della lettura dei giornali, poteva arrivare realmente a far in modo che lo spirito non sentisse più così facilmente se stesso come «pena»! (I Tedeschi hanno inventato la polvere – bravissimi! ma hanno anche, per altro verso, pareggiato il conto – inventarono la stampa). Noi però, che non siamo né gesuiti, né democratici, e neppure abbastanza tedeschi, noi buoni Europei e spiriti liberi, assai liberi – noi la sentiamo ancora, tutta la pena dello spirito e la tensione del suo arco! E forse anche la freccia, il compito, e chissà? la meta...[1] Sils-Maria, Alta Engadina, giugno 1885 [1] Nel manoscritto per la stampa, prima della correzione di Nietzsche: «Come pena lo sentì per esempio Pascal: quest’uomo, il più profondo dell’epoca moderna, sulla base di una terribile tensione dello spirito inventò per sé quella specie omicida di riso, con cui da allora egli sommerse nel ridicolo i gesuiti. Forse non gli mancò altro se non la salute e un decennio di vita in più – o, con espressione morale, un cielo del sud anziché la coltre nuvolosa di Port-Royal – per sommergere nel ridicolo anche il suo cristianesimo». | En admettant que la vérité soit femme, n’y aurait-il pas quelque vraisemblance à affirmer que tous les philosophes, dans la mesure où ils étaient des dogmatiques, ne s’entendaient pas à parler de la femme ? Le sérieux tragique, la gaucherie importune qu’ils ont déployés jusqu’à présent pour conquérir la vérité étaient des moyens bien maladroits et bien inconvenants pour gagner le cœur d’une femme. Ce qui est certain, c’est que la femme dont il s’agit ne s’est pas laissé gagner ; et toute espèce de dogmatique prend maintenant une attitude triste et découragée, si tant est qu’elle garde encore une attitude quelconque. Car il y a des railleurs pour prétendre qu’elle n’en a plus du tout, qu’elle est par terre aujourd’hui, — pis encore, que toute dogmatique est à l’agonie. Pour parler sérieusement, je crois qu’il y a de bons motifs d’espérer que tout dogmatisme en philosophie — quelle que fût son attitude solennelle et quasi-définitive — n’a été qu’un noble enfantillage et un balbutiement. Et peut-être le temps n’est-il pas éloigné où l’on comprendra sans cesse à nouveau ce qui, en somme, suffit à former la pierre fondamentale d’un pareil édifice philosophique, sublime et absolu, tel que l’élevèrent jusqu’à présent les dogmatiques. Ce fut une superstition populaire quelconque, datant des temps les plus reculés (comme, par exemple, le préjugé du sujet et du moi) ; ce fut peut-être un jeu de mot quelconque, une équivoque grammaticale, ou quelque généralisation téméraire de faits très restreints, très personnels, très humains, trop humains. La philosophie des dogmatiques n’a été, espérons-le, qu’une promesse faite pour des milliers d’années, comme ce fut le cas de l’astrologie, à une époque antérieure encore, — de l’astrologie, au service de laquelle on a dépensé peut-être plus de travail, d’argent, de perspicacité, de patience, qu’on ne l’a fait depuis pour toute science véritable ; et c’est à elle aussi, à ses aspirations supra-terrestres, que l’on doit, en Asie et en Égypte, l’architecture de grand style. Il semble que toutes les grandes choses, pour graver dans le cœur de l’humanité leurs exigences éternelles, doivent errer d’abord sur la terre en revêtant un masque effroyable et monstrueux. La philosophie dogmatique prit un masque de ce genre, lorsqu’elle se manifesta dans la doctrine des Veda en Asie ou dans le Platonisme en Europe. Ne soyons pas ingrats à son égard, bien qu’il faille avouer que l’erreur la plus néfaste, la plus pénible et la plus dangereuse qui ait jamais été commise a été une erreur des dogmatiques, je veux dire l’invention de l’esprit et du bien en soi, faite par Platon. Or, maintenant que cette erreur est surmontée, maintenant que l’Europe, délivrée de ce cauchemar, se reprend à respirer et jouit du moins d’un sommeil plus salutaire, c’est nous, nous dont le devoir est la vigilance même, qui héritons de toute la force que la lutte contre cette erreur a fait grandir. Ce serait en effet poser la vérité tête en bas, et nier la perspective, nier les conditions fondamentales de toute vie que de parler de l’esprit et du bien à la façon de Platon. On pourrait même se demander, en tant que médecin, d’où vient cette maladie, née sur le plus beau produit de l’antiquité, chez Platon ? Le méchant Socrate l’aurait-il corrompu ? Socrate aurait-il vraiment été le corrupteur de la jeunesse ? Aurait-il mérité la ciguë ? — Mais la lutte contre Platon, ou, plutôt, pour parler plus clairement, comme il convient au « peuple », la lutte contre l’oppression christiano-ecclésiastique exercée depuis des milliers d’années — car le christianisme est du platonisme à l’usage du « peuple » — cette lutte a créé en Europe une merveilleuse tension de l’esprit, telle qu’il n’y en eut pas encore sur terre : et avec un arc si fortement tendu il est possible, dès lors, de tirer sur les cibles les plus lointaines. Il est vrai que l’homme d’Europe souffre de cette tension et, par deux fois, l’on fit de vastes tentatives pour détendre l’arc ; ce fut d’abord par le jésuitisme et ensuite par le rationalisme démocratique. À l’aide de la liberté de la presse, de la lecture des journaux, il se pourrait que l’on obtînt véritablement ce résultat : l’esprit ne mettrait plus tant de facilité à se considérer comme un « péril ». (Les Allemands ont inventé la poudre — tous nos compliments ! Ils se sont rattrapés depuis — ils ont inventé la presse.) Mais nous, nous qui ne sommes ni jésuites, ni démocrates, ni même assez Allemands, nous autres bons Européens et esprits libres, très libres esprits — nous sentons encore en nous tout le péril de l’intelligence et toute la tension de son arc ! Et peut-être aussi la flèche, la mission, qui sait ? le but peut-être… Sils Maria, Haute-Engadine. Juin 1885. | ||
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